Davvero non si può mai stare tranquilli, nemmeno dopo. Nelle tombe della prima metà del ‘900, in particolare, si leggono spesso affermazioni come questa a proposito del fatto che la tomba non può e non deve essere manomessa da chicchessia…
in qualcuna, come in quella dei Colocci-Vespucci ci sono anche le maledizioni e l’anatema, ma non sembra che ottengano un gran risultato. Neppure il valore estetico e artistico sembra salvare la quiete di chi dorme qui. Ecco cosa sta capitando alla bellissima tomba della famiglia Monarca.
Famiglia di industriali della seta, in specie della filanda Monarca in via della Granita a Jesi. Se non lo sapessimo ce lo direbbero molti indizi: prima di tutto i rocchetti raffigurati accanto al ritratto di Rodolfo e nel fastigio al culmine della stele ancora un rocchetto ma in forma di farfalla con le ali tozze del bombice del gelso, quello che fa la seta.
E ai piedi della lapide stessa una figura idealizzata che con movenze morbide e molto fantasiose imita il gesto della filandara che tira fuori il filo di seta dal bozzolo e lo fila… una metafora anche della vita.
L’epitaffio di Vincenzo, il padre, è illeggibile a causa dei caratteri elaborati e artisticamente scolpiti che risultano difficili da leggere nella foto. Quello del figlio, Rodolfo, ricorda con orgoglio i meriti dell”uomo industriale” come in un’altra lapide viengono definiti i capitani di industria. Siamo ancora all’inizio del ‘900 quando la fede nel progresso e nello sviluppo era al massimo.
Ma la moglie e nuora dei due Monarca è triste e ha della vita un’idea meno ottimista così fa scolpire sugli stipiti due allegorie:
La vita è dolore – Solo Dio è speranza.
Nonostante l’auspicio e la cura della curatrice della tomba e l’apprezzamento artistico di uno studioso locale il prof.Coltorti “il bel Monumento funerario alla memoria di Vincenzo e Rodolfo Monarca (1916, marmo, Cappellina Monarca, Cimitero di Jesi), noti industriali iesini proprietari di una importante filanda…l’opera è di ottima fattura. Anche se non risulta firmata, è da attribuire a Raffaele Pirani.”
Nonostante tutto questo si sta disfacendo quello che la pietà, l’affetto, l’abilità e l’arte avevano composto… Speriamo almeno vengano ricomposte in modo dignitoso: in fondo non ricordano solo delle persone ma sono anche documento di un pezzo della storia del territorio di Jesi dove l’industria della seta e le filandare che ci lavoravano hanno lasciato un segno indelebile nell’ambiente e anche nel costume.