Per la giornata della memoria storie di marchigiani che non distolsero gli occhi dalla tragedia della persecuzione razziale e che per quello che hanno fatto sono entrati allo Yad Vashem, il giardino dei “Giusti fra le nazioni” dove sono celebrati i non ebrei che rischiarono la propria vita per salvare quella di un ebreo. Una è quella dell’ascolana Elena Salvi Bucci che nel 1943 lavorava presso la famiglia ebrea Fuà Cingoli quando la sua signora e i suoi piccoli figli furono portati nel carcere di Forte Malatesta, con il concreto e serio rischio di essere poi destinati ad uno dei campi di concentramento presenti in Europa. Elena decise di seguirli, per poi aiutarli a scappare e a nascondersi nelle campagne fino all’arrivo degli alleati.
Livia Lelli, invece, andò con un carro trainato da un cavallo fino al campo di concentramento di Servigliano per prelevare un deportato ebreo, Michael Papo, e insieme al marito Alfredo lo tenne nascosto nella loro casa a Maltignano, esponendosi al rischio di rappresaglie, fino all’arrivo degli alleati
Nel settembre del 1943 giunsero ad Amandola due famiglie di ebrei jugoslavi e tutto il paese, guidato dal capostazione Giuseppe Brutti con la moglie Elvira Lucci Brutti, si mobilitò per aiutarli, offrendo loro alloggio, cibo e coperte. Quando una spia rivelò la loro presenza in paese, gli ebrei furono trasferiti nella frazione di San Cristoforo dove rimasero fino alla Liberazione del 1945. Per questo atto eroico e di coraggio, il Brutti e la moglie sono stati insigniti dall’Istituto Yad Vashem a Gerusalemme dell’alta onorificenza di “Giusti tra le nazioni”.
Almeno ci sono stati italiani che si comportarono con umanità e dignità!